L’acquedotto romano di Aquae Statiellae (l’odierna Acqui Terme), risalente alla prima età imperiale (I secolo d.C.) è tra le maggiori testimonianze superstiti di infrastruttura idraulica antica in Italia Settentrionale. Il percorso dell’acquedotto era in gran parte sotterraneo, attraverso una condotta di diversi chilometri che percorreva la valle del torrente Erro. Giunta in prossimità del centro urbano, la condotta doveva attraversare la vallata del fiume Bormida, con un dislivello di una ventina di metri, mantenendo tuttavia una pendenza costante: la soluzione ingegneristica adottata fu la costruzione di un imponente sistema di arcate in muratura, al di sopra delle quali correva un canale coperto. Tenendo conto dell’ampiezza del greto della Bormida e dell’interasse tra i pilastri, in origine doveva trattarsi di una quarantina di pilastri e archi: attualmente ne sopravvivono due tratti sulla sponda destra della Bormida, che tuttora con la loro imponenza contrassegnano fortemente il paesaggio. Il segmento meglio conservato è costituito da sette pilastri alti fino a quindici metri, sormontati da quattro archi. Un ulteriore tratto, posto a qualche decina di metri a sud-est del primo, è formato da altri otto pilastri con altezze decrescenti, ad assecondare il naturale pendio, mentre resti di altri pilastri (già collassati a terra in antico), riemergono periodicamente dal greto ghiaioso del fiume, in occasione di eventi alluvionali.
I pilastri sono tutti a base quadrangolare e si caratterizzano per la progressiva riduzione della sezione (rastremazione) verso l’alto, con una serie di regolari riseghe, mentre gli archi sono a sesto ribassato di m 3,35 di raggio. La costruzione presenta un nucleo cementizio rivestito da un regolare paramento murario, in blocchetti di arenaria locale. Le parti in laterizio visibili alla sommità dei pilastri o sull’estradosso degli archi si riferiscono all’intervento di restauro del monumento effettuato nel 1896 sotto la direzione di Alfredo d’Andrade, reso necessario per preservare il monumento allora in precarie condizioni conservative. La condotta sotterranea, sempre in muratura, aveva sezione rettangolare coperta da una volta a botte o, talora, da lastre di arenaria ed era foderata internamente da cocciopesto allo scopo di garantirne l’impermeabilizzazione.
L’acquedotto attingeva le acque nel torrente Erro, forse sfruttando il bacino naturale del Lagoscuro (Cartosio, AL): da qui il percorso si manteneva sempre in sponda destra all’Erro, proseguendo per lo più in sotterranea per circa 12 km, anche se l’attraversamento di rii minori veniva probabilmente risolto mediante arcate, come in località Caliogna (Melazzo, AL). Ormai in prossimità del centro urbano, in località Marchiolli un ramo secondario, alimentato dalle sorgenti di Rocca Sorda, si innestava nella condotta principale che poi confluiva in una vasca di decantazione (piscina limaria). Più oltre l’aquedotto attraversava la Bormida fuori terra sulle grandiose arcate che, oltre agli scopi utilitari, avevano eloquente connotazione monumentale. Il punto terminale del percorso doveva essere il castellum aquae (non ancora identificato, ma probabilmente posto nella parte più elevata della città), ovvero il punto terminale da cui si dipartiva la rete idrica urbana, destinata a rifornire fontane pubbliche, domus private e impianti produttivi, ma soprattutto le terme nelle quali si mescolavano con le aquae calidae (termali) per le quali Acqui era già celeberrima nell’antichità.
Le arcate e i pilastri del tratto terminale dell’acquedotto romano di Acqui sono sempre liberamente accessibili: un punto di osservazione dall’alto è offerto dall’ottocentesco Ponte Carlo Alberto, mentre una visione più ravvicinata è possibile passeggiata e pista ciclabile prospiciente.