Alle origini dell’Archivio di Stato di Brescia vi è una disposizione
emanata nel maggio del 1661 dai rettori veneti della città, il podestà
Francesco Badoer e il capitano Alvise Mocenigo, con la quale essi
dettero attuazione ad una ducale del 30 aprile dello stesso anno, che
prescriveva l’istituzione di “un archivio delle scritture concernenti li
publici interessi […] a spese publiche nel loco terraneo verso mattina
di questo Broletto”.
Gli ordini della ducale vennero eseguiti: la sede del nuovo archivio
venne fissata in un locale al piano terreno del palazzo del Broletto e
suo conservatore venne nominato Giulio Patrici di Corfù, che ebbe come
primo compito quello di redigere gli indici di tutte le ducali, mentre
si ordinò ai notai e ai cancellieri di depositarvi le proprie scritture.
La fine del governo veneto nel 1797 non comportò stravolgimenti nelle
attività dell’archivio. Anche nel breve e turbinoso periodo
“napoleonico”, durante il quale si verificarono continui cambiamenti
istituzionali, l’archivio non cessò di svolgere le proprie mansioni di
conservazione.
All’epoca esistevano di fatto due distinti archivi, il primo, detto
“Archivio Vecchio”, sempre rimasto nelle sale del Broletto, deputato
alla conservazione degli atti pubblici delle magistrature venete, ed un
secondo, conservato presso il palazzo civico della Loggia, detto “Civil
Nuovo”, che conservava gli atti di natura giudiziaria e dei notai. Nel
corso degli anni Venti dell’Ottocento entrambi gli archivi furono
sottoposti all’autorità governativa, fino a quando, nel 1839, fu
costituito un vero e proprio “Archivio generale di deposito
governativo-giudiziario”, posto alle dipendenze della Direzione generale
degli archivi di deposito governativi di Lombardia.
Con il 1° gennaio 1871, in attuazione dei Regi Decreti 5 marzo n.
1852 e 26 marzo n. 1861, l’archivio di Brescia divenne regio e prese
posto, ufficialmente, tra gli archivi di Stato, continuando a dipendere
dal Ministero dell’interno. Inserito nell’organizzazione archivistica
nazionale ha proseguito nel proprio compito istituzionale, provvedendo
alla conservazione e tutela dei documenti delle magistrature preunitarie
e ricevendo, anno dopo anno, i versamenti della documentazione prodotta
degli organi periferici dello Stato della circoscrizione provinciale.
Purtroppo i fondi di antico regime conservati subirono gravi ammanchi
e dispersioni nella prima metà del XIX secolo. Confrontando un
inventario generale compilato dall’archivista Giovanni Rossa nel 1811
per il cosiddetto “Archivio Vecchio”, che all’epoca includeva sia gli
atti delle magistrature venete, podestà e capitano, sia l’archivio del
“Territorio”, magistratura che si occupava del contado cittadino, con un
prospetto della documentazione conservata nel 1854, si constata la
perdita dei due terzi delle carte. Perdita dovuta agli scarti
sconsiderati effettuati dall’allora direttore Luigi Scalfi, poi
condannato per questi fatti a cinque anni di carcere duro.
A fronte di tale perdita, possiamo per fortuna constatare la totale
incolumità della documentazione negli eventi bellici del primo e del
secondo conflitto mondale. Attualmente l’Archivio di Stato è, al pari
degli Istituti presenti in ogni capoluogo di provincia, un ufficio
periferico del Ministero della Cultura, alla diretta dipendenza della
Direzione Generale Archivi.
Ad oggi si conservano oltre ventiquattromila metri lineari di
documentazione, con atti originali dal IX secolo, in copia dall’VIII,
sino alla seconda metà del Novecento.