Archivio di stato di Cagliari

L’Archivio di Stato di Cagliari ha una vicenda antica, strettamente collegata agli eventi politici e istituzionali che videro la città svolgere per secoli il ruolo di capitale del Regnum Sardiniae, passando attraverso le dominazioni catalano-aragonese, spagnola, austriaca e piemontese, sino all’Unità d’Italia. Istituito nel 1332 da Alfonso IV, re d’Aragona, ad appena nove anni dallo sbarco nell’isola (1323), l’Archivio, situato nel Castello di Cagliari, era destinato a esercitare funzioni di archivio generale del Regno e a conservare tutti i documenti prodotti dall’amministrazione aragonese. Ne fu affidata la direzione a un esperto in materia contabile, secondo quello che si rivelerà essere lo spirito della politica archivistica dei sovrani aragonesi e spagnoli, preoccupati principalmente di curare la conservazione della documentazione di carattere fiscale, al fine di assicurarsi un attento controllo sulle rendite dell’isola. Questa impostazione venne sottolineata da Filippo III di Spagna in un provvedimento del 1618, in cui l’archivio regio era esplicitamente definito patrimoniale. Dopo il breve periodo dell’occupazione austriaca (1708-1717), legato alle alterne vicende della guerra di successione spagnola, col trattato di Londra del 1718 il Regno di Sardegna passò a Vittorio Amedeo II di Savoia che si impegnò a rispettare e a lasciare in vita le preesistenti istituzioni.
Più tardi, sotto il governo di Carlo Emanuele III e del ministro Bogino, l’Archivio fu riorganizzato e furono presi alcuni importanti provvedimenti per la sua conservazione e ordinamento, che sfociarono nel regio biglietto del 10 settembre del 1763. L’Istituto venne ricostituito in archivio centrale e generale dell’isola e riordinato, in omaggio allo spirito enciclopedistico dell’epoca, secondo il metodo per materia che produsse una certa alterazione dei fondi, senza però arrivare agli eccessi che si verificarono in altri Stati italiani. Una svolta decisiva nelle vicende dell’Archivio cagliaritano si ebbe a seguito del regio decreto 20 dicembre 1847 che, sanzionando la “fusione” della Sardegna con lo Stato sabaudo, provocò importanti riflessi in campo archivistico. La cessazione degli uffici isolani autonomi dell’antico Regnum Sardiniae, sostituiti con quelli in vigore nella terraferma, comportò infatti la trasformazione dell’Archivio dallo status di generale a quello di provinciale. Al mutamento politico si accompagnò anche la necessità di consegnare al Regio Archivio le carte provenienti dagli uffici soppressi: si realizzò così l’unione della documentazione del periodo spagnolo e sabaudo in un unico istituto cui fu dato il nome di Regi Archivi. Più tardi, nel quadro del riordinamento politico-amministrativo seguito all’Unità d’Italia, l’istituto cagliaritano fu, con R.D. 5.3.1874 n.1852, posto, come gli altri Archivi degli Stati preunitari, alle dipendenze del Ministero dell’Interno, divenendo a tutti gli effetti un Archivio di Stato con competenza provinciale. Dal 1975 l’Archivio di Stato di Cagliari è un organo periferico del Ministero della Cultura.
La sede dell’Archivio, raro esempio di edilizia archivistica della prima metà del Novecento, fu inaugurata nel 1927. Le prime proposte per la sua costruzione furono avanzate a partire dal 1919 quando il Ministero dell’Interno invitò gli Istituti archivistici a utilizzare i fondi stanziati dallo Stato per realizzare lavori urgenti di costruzione e restauro dei locali adibiti ad archivio. Il materiale documentario era allora ospitato nella ex-chiesa gesuitica di Santa Teresa situata nel quartiere della Marina dove era stato trasferito nel 1883, dopo una plurisecolare e quasi ininterrotta permanenza nel Palazzo Regio ubicato nel Castello di Cagliari. Messa da parte l’idea di riadattare la vecchia chiesa perché assolutamente inidonea, si optò per la costruzione di un nuovo archivio nell’area compresa tra le attuali via Gallura e via Sonnino, in pieno centro cittadino. Nel 1921 fu approvato il progetto di costruzione che prevedeva due piani (piano terra e primo piano). I lavori vennero avviati rapidamente e in corso d’opera fu consentita la sopraelevazione di altri due piani ad uso temporaneo degli uffici del Genio Civile. Il 30 ottobre 1927 la nuova sede venne appunto inaugurata. L’edificio, progettato secondo le norme di buona conservazione del materiale archivistico (luce, areazione, spolveratura) rappresentò in quegli anni uno dei primi e apprezzati esempi di edilizia archivistica post-unitaria. Rispondente sul piano stilistico ai canoni dell’architettura eclettica, si presenta ancora oggi articolato su quattro piani separati a coppie da una cornice marcapiano; è arricchito da paraste a bugnato ruvido e sbozzato che inquadrano finestre con timpani curvilinei al primo piano e triangolari al secondo.Sul portone d’ingresso spicca un timpano curvilineo spezzato che poggia su due paraste. Il palazzo subì ingenti danni durante i bombardamenti aerei del 1943: furono distrutte completamente sei sale ed altre quattro vennero gravemente lesionate. Ai primi del 1944 si iniziarono i lavori di sgombero delle macerie e fu avviato il recupero del materiale archivistico. Sistemate le tre sale agibili e rientrate in sede le carte più antiche che precauzionalmente sin dal 1940 erano state trasferite presso il Comune di Mandas, l’ufficio riprese a funzionare alla fine del 1944. Negli ultimi decenni il continuo accrescimento del patrimonio documentario, in seguito ai cospicui versamenti delle carte provenienti dagli uffici statali della provincia, ha comportato il completamento degli spazi a disposizione dell’archivio; nel 1981 si è reso quindi necessario chiedere al Genio Civile, passato dal 1975 alla Regione Autonoma della Sardegna, la restituzione dei due piani sopraelevati che, solo nel febbraio del 1999, sono stati riconsegnati al demanio dello Stato e quindi all’Istituto. I lavori di adeguamento strutturale dell’edificio sono attualmente in corso.

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